Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo IV, Classici italiani, 1823, IV.djvu/532

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TERZO 5« I vaghirono di coltivili’ quella lingua. Ma oltre ch’io temo che le cose che di coteste corti si narrano , siano forse esagerate oltre al dovere, esse aveano singolarmente in pregio la poesia provenzale, di cui qui non si tratta. Una ragione assai più probabile a me sembra che se ne possa assegnare nella venuta de’ Francesi in Italia, quando Carlo d’Angiò divenne signore del regno di Napoli l’anno 1266. Egli ebbe gran potere ancora nella Toscana, come abbiamo accennato al principio di questo tomo; e molti Francesi perciò essendosi a questa occasione sparsi per la Toscana, non è maraviglia che la lor lingua ancor vi si dilatasse, e che gl’italiani prendessero a coltivarla. V. Sembra che gl’italiani cominciassero fin da que’ tempi a lasciarsi trasportare per tal maniera dalla stima delle cose degli stranieri , che in confronto ad esse avessero a vile le loro proprie. Noi veggiamo alcuni di essi esaltare con somme lodi la lingua francese, e dirla assai più elegante e leggiadra dell’italiana, anzi delle lingue tutte del mondo. Brunetto Latini, che volle scrivere in questa lingua il suo Tesoro, afferma di aver ciò fatto anche parce que la parleure est plus delitable et plus commune à tous langaises. Ma non è meraviglia ch’egli scrivesse così, perciocchè egli scrivea in Francia, come vedremo altrove, ove di lui parleremo più a lungo. Il ch. abate Mehus parla di un codice ms. che conservasi in Firenze nella biblioteca raccolta dal marchese Gabriello Riccardi (Vit. Ambros. camald. p. 154), in cui contiensi la Storia di Venezia dall’origine di essa (ino