Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 1, Classici Italiani, 1823, V.djvu/461

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424 LIBRO insalvatichendo ogni giorno più; e ne son pruova gli scritti medesimi di questi tempi, che sempre maggiormente scostandosi dalla precisione e dalla chiarezza degli antichi giureconsulti, oltre uno stil barbaro e rozzo, e oltre la mancanza di critica, ci offrono comunemente un1 ignuda e continuata serie di citazioni, tra le quali va naufrago quel qualunque raziocinio o discorso che sotto vi sta nascosto (a). Questo nondimeno fu il secolo a cui fiorirono i Baldi, i Bartoli e tanti altri chiarissimi lumi della giurisprudenza, che furono a’ lor tempi avuti in conto non men che di Dei, e i cui nomi anche al presente non si pronunciano senza venerazione. E certo nelle lor opere essi danno a vedere e l’acuto ingegno di cui eran (a) Poco onorevole testimonianza non solo al sapere, ma anche all’onestà de’ giureconsulti dell’età sua. rende il Petrarca in una sua lettera a un cotal Marco da Genova. In essa , dopo aver lungamente parlato degli antichi giureconsulti, quod idcirco diligt ntius feci , dice egli, quia pars magna legistarum nostri temporis de origine juris et conditoribus legum nihil a ut parum curata didicisse contenta, quid de contractibus deque judiciis ac testamentis jure sit cautum, ut quae studii sui finem lucrum fecerit. Quindi dopo aver fatto un lungo confronto tra gli antichi e i moderni giureconsulti , lo conchiude dicendo: Quid pluribus morer? Quisquis horum , cioè de’ moderni, promptius reluctantem et invitam legem ad Ubiditimi sua ni traxit , is et jurisconsulti munus implevit, et docti viri meruit nomen. Si quis autem rarus procul ab bis arti bus rectum nudae callem veritatis arripiat, prue ter quam quod lucri et gratiae expers est, rudis insuper et insulsi hominis sit subiturus i tifarti iam (Epist. ed. Genev. 1601 , l. 11, ep. 4)•