Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo V, parte 2, Classici italiani, 1823, VI.djvu/415

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TERZO 9MJ di vicendevoli ragionamenti. Abbia in pure altrove mostrato qual premura avesse Coluccio così per emendare i codici degli antichi scrittori, come per raccoglierne studiosamente quanti più gli fosse possibile. E in vero gli scrittori che a quel tempo viveano, ci parlano di Coluccio, come d’uno de’ più dotti uomini che allor fossero, e sembrano gareggiar tra loro a chi più il ricolmi di lodi. Veggansi gli elogi che ne ha raccolti l’ab. Mehus (l. cit p. 286, ec.), e que’ che ne sono stati premessi al primo tomo delle Lettere pubblicate dal Rigacci. In essi Coluccio vien detto uomo che, per costumi non meno che per dottrina, risplende in tutto il mondo come luminosissima stella; che ha coltivati con felice successo gli studi d’ogni maniera; che non solo uguaglia, ma sorpassa ancora l’ingegno degli antichi poeti; uomo a cui quanto v’ ha nella storia di tutte le nazioni, quanto nella mitologia, quanto nella sacra Scrittura, tutto è notissimo; egli il solo consapevole de’ segreti della natura, il solo valevole a comprendere colf ingegno, e a spiegar con parole le cose tutte divine e umane. A questi si può aggiugnere una lettera a lui scritta da Francesco da Fiano, che ò tra quelle dello stesso Coluccio (t 1, p. i56), e che ò un tal panegirico di medesimo, che di Cicerone e di Virgilio appena si è detto altrettanto. Filippo Villani, a spiegare qual fosse l’eleganza e l’eloquenza dello stil di Coluccio, dice ch’ei si può nominare Scimia di Cicerone. Ma a dir vero, benchè lo stil di Coluccio abbia non rare volte energia e forza maggiore che quello della maggior parte