Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu/181

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SECONDO 8a3 questa lettere fu scritta nel 1520, cioè al più dodici anni dappoichè tal cosa era avvenuta, onde f Agrippa poteva essere di questo fatto ben istruito. E veramente lo stesso Pietro al fine della mentovata risposta al suo avversario domenicano ci mostra ch’egli avea ivi potenti nemici, e che talvolta sollevossi contro di lui qualche sedizion popolare. Rechiamo ancor questo tratto nel suo originale latino, poichè lo stile di Pietro per la sua naturale chiarezza ci rende piacevole a leggersi ciò ch’ei ne racconta, nel qual passo però crederem volentieri, com’egli stesso ci assicura, ch’egli abbia parlato per giuoco: Ultimo nolo omittere, quod dixi in voce et in scriptis pro facetia et joco, quod scholares Itali non poterant vivere sine meretricibus. Nonnulli pendentes ab ore meo intenti super quo possent me in verbis capere, inceperunt clamare: Crucifige, crucifige. Et cum has voces audirem, statui ostendere, quod de jure poterat sustineri, quod pro quadam facetia dixeram. Et audio, quod Doctor iste venerandus vult contra me scribere in hoc punto. Scribat, quia forte audiet, quae sibi non placebunt. Quod etsi Coloniae non fiet, alibi tamen fiet, et ipse Coloniae commorans leget Suadeo suae Paternitari, quod pacem diligat. Quod si cupit libellum, illum inveniet, licet inter ipsum et me erit longum chaos interpositum. È verisimile adunque che parte 1’invidia de’ suoi nemici, parte qualche imprudenza da lui usata nel dire e nello scrivere cose non degne di molta approvazione , eccitasse contro di lui una fiera burrasca, e che o fosse cacciato, o fosse alinen