Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu/304

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946 LIBRO comune opinione, son tempi di luce, si veggon talvolta uscire al pubblico cotali storie, che per poco non si crederebbon composte quattro o cinque secoli addietro. Lo scriver bene fu sempre di pochi, e anche al secol d’Augusto tra un Orazio e un Virgilio si frammischiarono importunamente un Mevio e un Bavio. Nè solo per la eccellenza degli scrittori di storia fu illustre il secolo xv, ma per la lor moltitudine ancora. Basti il dire che le giunte e le correzioni sole fatte dall’eruditissimo Apostolo Zeno a ciò che il Vossio avea detto degli storici italiani che scrissero in questo secolo in lingua latina, formano due non piccoli tomi. E nondimeno nè vi si trovan tutti coloro che ci han date storie in quella lingua, e tutti vi mancan quelli che ce la han date nell’italiana. Io sforzerommi adunque di trattare in tal modo un sì vasto argomento, che nulla omettendo, per quanto mi sia possibile, di ciò che è necessario a porre nella giusta sua luce il merito dei migliori e de’ più rinomati scrittori, e lasciando in disparte le meno importanti ricerche, e accennando soltanto ciò che da altri è stato già rischiarato, non si oltrepassino i confini all’idea di questa Storia prescritti.

II. Diasi il primo luogo a coloro che si volsero a coltivare quella parte di storia, la qual fra tutte è la più oscura, e in conseguenza la più difficile, cioè l’antica, col rischiarare, come meglio potevano, i costumi, le leggi e i fatti de’ Romani, de’ Greci e di altre nazioni. Abbiamo altrove lungamente parlato dell’instancabile diligenza con cui molti si diedero a