Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 2, Classici italiani, 1824, XI.djvu/203

Da Wikisource.

SECONDO So3 figure e col raziocinio, ch’ essi si sono ingannati, che nulla di somigliante hanno i detti disegni con que’ del Vauban, e allora ci sarà forza l’arrenderci e il darci vinti. E assai migliore e più util sarebbe l’opera del Marchi, s’ei le avesse potuto dar l’ ultima mano. Fin dal 1545 aveane egli in ordine la maggior parte, e nell’agosto dell’an 1546 cominciò in Roma a disegnar le figure ad essa necessarie. Ma a misura ch’esse gli uscivan di mano, se ne spargevan più copie; e quindi venne che altri si diedero il vanto di alcune delle invenzioni del Marchi, altri ne contraffecero le figure con piccioli cambiamenti. Ciò fu cagione per avventura che il Marchi, sdegnato, non si curasse di condur l’ opera a fine. Egli prima di morire (il che non sappiamo quando accadesse) raccomandò a Gasparo dall’Olio bolognese le sue figure colle dichiarazioni aggiuntevi, e l’opera fu finalmente pubblicata in Brescia nel i5i)q (V. Zeno, Note al Fontan. t. 2, p. 396, ec.). Ma come suole avvenire nelle opere di tal natura, che non ricevon l’ultima mano da’loro autori, vi corser non pochi falli, e si vede che i disegni talvolta non corrispondono alle parole. Ciò non ostante non si può a meno di non ammirare la prodigiosa fecondità dell’ingegno del Marchi, che in essa ci offre 160 diverse maniere di fortificazione, e la maggior parte, com’egli dice nel suo proemio, da lui stesso trovate. E che ciò sia vero, si può comprendere agevolmente, riflettendo che pochissimi erano allora gli scrittori, di quest’arte, e tali, che dopo l’invenzione dell’arti gliene erano di