Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 3, Classici italiani, 1824, XII.djvu/749

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TERZO I90I dunque ciò che alla tragedia appartiene coll osservare che benchè molte tra le tragedie in quel secolo divolgate fossero accolte con istraordinario applauso, poche però, o forse niuna tra esse lo otterrebbe al presente. L’ammirazione che allora aveasi per l’ antico teatro greco, faceva che tutto ciò che ad esso rassomigliava, sembrasse degno di lode, e che questa tanto fosse maggiore, quanto più esatta fosse la somiglianza, e non riflettevasi, come si è già accennato, che la diversità della lingua, de costumi e de’ tempi richiedeva ancora diversità d’azioni e di sentimenti. Chi può ora, a cagion d’ esempio, udir con piacere quelle lunghissime parlate che si trovan nelle tragedie greche? Chi può approvare l’uso del coro, quale in esse si vede, e ch è tanto contrario a’ moderni costumi? Ma conveniva che così accadesse, cioè, che prima si prendessero quasi a copiare i tragici greci, e che in tal modo le Muse italiane si disponessero a scriver tali tragedie, in cui serbando tutti i più rari pregi degli antichi maestri, se ne schivassero que’ difetti che furon difetti de’ costumi, dell indole delle nazioni e de tempi; come appunto veggiamo avvenire che un industrioso pittore comincia ad esercitarsi nel copiare esattamente i più perfetti originali che può avere sott’ occhio, e quindi si fa autore egli medesimo, e dipinge secondo che la sua fantasia e le sue riflessione gli insegnano. LXI. Mentre molti tra’ poeti italiani sforzavansi di rinnovare tra noi l’antica tragedia, e di emulare Euripide e Sofocle, altri si rivolsero