Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/99

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TFRZO 2o(Ù fine* deiranno stesso ei fu travagliato da lunga pericolosa infermità, dalla qual nondimeno parve ristabilirsi (Pogian. Epist l. c.). Ma un anno appresso, a 17 di novembre del 1561, in età ancor fresca finì di vivere; sulla qual morte abbiamo una bellissima lettera del Cardinal Ottone Truchses al Cardinal Osio piena di elogi del Faerno, pubblicata dal P. Logomarsini (ib. p. 359), il quale un’altra ne reca di Latino Latini dello stesso tenore. Fra le altre lodi che il Truchses ne dice, non è l’ultima quella che per alcuni anni era il Faerno vissuto in Roma, come in una villa, senza aver punto delle arti, degl inganni, de raggiri proprj delle corti, lieto e pago soltanto di quel suo ingenuo candore che il rendeva amabile a tutti. Ordinò il pontefice, come narra il medesimo cardinale, che se ne dessero alla pubblica luce le opere. E infatti l’an 1564 ne furono stampate in Roma le cento Favole tratte da Esopo e da altri antichi scrittori, e da lui esposte in versi latini di varj metri con una sì tersa e sì facile eleganza, che pochi tra gli scrittori moderni si sono egualmente accostati alle grazie degli antichi poeti. Ridicola è l’accusa che da alcuni si appone al Faerno, cioè che ei si valesse delle Favole di Fedro non ancora pubblicate, e che cercasse perciò di sopprimerle. Perciocchè o si parla della sostanza delle Favole, e questa ei si protesta di averla tratta da Esopo e da altri antichi Greci, le cui opere erano nelle mani di tutti, e più note assai di quelle di Fedro; o si parla dei versi, e basta il confrontare que’ del Faerno