Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/226

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timenti di donna e di moglie si ridestavano, e non osavo più alzare gli occhi in volto a Massimo, tremavo nel parlargli, sentivo il rossore salirmi alla fronte quando mi rivolgeva la parola, o quando, nel prestare una cura alla piccola ammalata, le nostre mani s'incontravano.

Domandavo a me stessa se avessi ancora il diritto di vegliare a quel letto della mia bambina, se non verrebbe un momento, in cui quell'uomo offeso avesse a scacciarmi dalla casa che avevo disertata.

Anche la Marichita, ricuperando la salute, ritornava col pensiero a quanto era accaduto di strano e doloroso per lei, e ne parlava con quel suo linguaggio immaginoso ed appassionato, che altre volte vi sorprendeva tanto:

— Oh mamma, diceva, dev' essere stato un cattivo genio che ti ha presa sulle sue ali nere, per portarti lontana da me quando stavo male.

Un giorno mi domandò se era guarito il nonno; e Massimo s'affrettò a risponderle, in modo da farmi comprendere la sua pietosa bugia, perchè potessi secondarlo. Fu un momento terribile per me.

Un'altra volta, tornando sempre su quel pensiero tormentoso della mia lontananza, la bimba disse:

— Il babbo piangeva, e le sue lagrime erano come tante stilline bollenti che mi cadessero sul cervello; mi davano la febbre.

Poi soggiunse:

— Io non m'allontanerò mai, neppure un'ora dai miei bambini, per non far piangere il loro babbo. Non l'avevo mai veduto; ma è triste un babbo che piange.

Il primo giorno che le fu permesso d'alzarsi ebbe un accesso di gioia esuberante.