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Pagina:Trabalza - Dal dialetto alla lingua, 1917.pdf/13

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sia dato per iscorta il dialetto debitamente studiato, coltivato, onorato.

[Fortuna di esso.]Narrare la fortuna di codesta idea da’ suoi più lontani precedenti e ne’ suoi legami con la vita nazionale tutta in Italia e fuori, non è compito d’una breve prefazione a un libro elementare; benché una storia siffatta sarebbe la migliore dimostrazione della bontà di essa. Qui basterà rammentare che, già applicata in diverse guise, come portavano quelle condizioni di cultura, sul fiorire dell’anima italiana alla luce nuova delle libertà comunali, non dimenticata nel Rinascimento, ravvivata nel fervido risveglio del gran Settecento, fu animosamente ripresa e spiegata all’alba del nostro Risorgimento da Alessandro Manzoni come un fiammante vessillo alla sospirata unità spirituale della nazione; sperimentata poi dai continuatori suoi in varie prove[1], fino a che il maggiore di essi e risuscitatore della poesia dialettale col rinverdire l’arte e la gloria del Belli, Luigi Morandi, sostenendola vigorosamente, non l’ebbe fatta mettere a fondamento de’ primi studi di lingua in un progamma ufficiale per le scuole della risorta nazione[2]; e ora, dalle dotte e vibranti carte d’una



  1. V., ad es., in G. Leanti, L’opera di Giuseppe Pitrè in rapporto alla psicologia e alla pedagogia (eccellente studio che ogni maestro può vedere nella Rivista Pedagogica, IX, 7-8, luglio-settembre 1916), la ricca letteratura didattico-dialettale che si è avuta nella sola Sicilia. Ma ogni regione italiana ebbe, per effetto del movimento manzoniano, grammatiche, dizionari, raccolte dialettali.
  2. «E poichè nel luogo ove risiede la scuola si parla un dialetto, più o meno disforme dalla lingua, si badi di far