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manzoni e napoleone iii 469


Il Manzoni era un ragionatore e un logico inesorabile, non un poeta d’impeto; nè egli si sentiva disposto a riconoscere ai colleghi del Parnaso il privilegio di poter parlare a vànvera e come inebriati, secondo le proprie simpatie o antipatie, ovvero secondo le impressioni del momento.

Chi non ricorda ciò che egli medesimo venne argomentando contro il Parini, ch’era puro il suo Parini, a proposito del costui frammento sulla Colonna Infame? Dopo d’aver riferiti «i pochi versi di quel frammento, ne’ quali il celebre poeta fa pur troppo eco alla moltitudine e all’iscrizione», ei ripigliava:

Era questa veramente l’opinione del Parini? Non si sa; e l’averla espressa, così affermativamente bensì, ma in versi, non ne sarebbe un argomento; perchè allora era massima ricevuta che i poeti avessero il privilegio di profittar di tutte le credenze, o vere, o false, le quali fossero atte a produrre una impressione, o forte, o piacevole. Il privilegio! Mantenere e riscaldar gli uomini nell’errore, un privilegio! Ma a questo si rispondeva che un tal inconveniente non poteva nascere, perchè i poeti, nessun credeva che dicessero davvero. Non c’è da replicare: solo può parere strano che i poeti fossero contenti del permesso e del motivo.

Comunque, egli non se n’accontentava. E si capisco che a noi, nell’onesto ardore di rintuzzare certe aberrazioni o di raffreddare certo scalmane, piacerebbe che la sua venerata parola ci venisse in aiuto più risoluta e tagliente; che tonasse, pur dall’oltretomba, ammonitrice perspicua © cospicua, così da scuotere e persuadere anche i peggiori sordi e gli ostinatamente schivi. Invece quella voce spesso ci giunge vaga e confusa, in modo

Che or sì or no s’intendon le parole.


    questa lettera segna un’epoca memorabile nella storia d’Italia; con questa lettera l’imperatore dei Francesi ha acquistato, a mio credere, un titolo alla riconoscenza degl’Italiani non minore di quello che ottenne sconfiggendo gli Austriaci sulle alture di Solferino. Sì; perchè con quella lettera egli metteva fine al regno dei preti, il quale è forse altrettanto dannoso all’Italia della signoria austriaca. E con ciò fare l’imperatore compieva un atto magnanimo, perchè, per giovare all’Italia, per por fine a quella signoria, egli non esitava ad alienarsi un partito potente in Francia, che sino allora gli aveva dato, in apparenza almeno, un valido appoggio». Et haec meminisse iuvabit!...