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E bisogna rassegnarsi. Sarebbe ridicolo e sacrilego desiderare ch’ei fosse stato diverso: «quello era così»! Ma così appunto, ai suoi versi fatidici era reso l’altissimo onore di venir ripetuti ad ammonimento, nella Camera subalpina, nientemeno che da Camillo Cavour!

Poscritto. — Questo Saggio mi procurò l’onore d’una Lettera aperta, nel Momento di Torino (20 gennaio 1909), di quel sagace indagatore del pensiero e dell’arte Manzoniana che è il marchese Filippo Crispolti. Essa è assai notevole; e chiedo vènia al cortese contradittore se la riferisco qui nella parte essenziale1.

— «..... Ora, se questa è una sottigliezza, Ella ha fatto benissimo a dire che, nell’interpretare uno scrittore sottilissimo come il Manzoni, anche le sottigliezze hanno il loro giusto ufficio. Ma in questo caso mi sembra che sarebbe stata più opportuna un’altra sottigliezza. Cioè ricordare che in quella lettera [all’Agodino, dell’11 febbraio 1873] il Manzoni rifugge dai nomi proprii in ogni caso. Come si è contentato di un’allusione per indicare Napoleone III e la Francia, si contenta di un’allusione per indicare l’Austria: «la Potenza allora prevalente in Italia». Perfino Vittorio Emanuele ed il Piemonte, il nome dei quali non poteva aver bisogno d’essere dissimulato, egli li accenna così: «il giovane re di cotesta estrema parte della patria comune».

Del resto, negli ultimi anni il Manzoni parve avere una strana ripugnanza ai nomi proprii. Tra i suoi scritti inediti che aspettano la luce, vi è appunto il frammento del lavoro con cui avrebbe voluto illustrare la propria lettera all’Agodino: stupende pagine sulla Indipendenza d’Italia,

  1. La Lettera è stata dall’autore medesimo ristampata nell’interessante volumetto delle sue Minuzie Manzoniane, Napoli, Perrella, 1919 p. 108 ss.