Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/102

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atto primo.—sc. ii. 97

Purché tu a lieve simular ti pieghi.
Eleazaro. Qual?
Ester. Nol conosco; ma il tuo culto onoro,
Poich’egli è tuo: tu il serberai: si, padre....
Non ti sdegnar; tu il serberai, ma in core.
Eleazaro. Vergognarmi del vero?
Ester.                                                  Agl’idoli empi
Non immolar, dritto è: ma qui mentito
Dio non s’adora: e (qual pur fosse il Giusto,
Che in Golgota moría) de’ giusti il rege
Altro esser può che di Giacobbe il Dio?
All’ara sua ti curva, e in cor racchiuso
Ti stia l’amor del tuo profeta.
Eleazaro.                                                                 Il vero,
Lassa! t’è ignoto, e ti compiango. Uom puote
Ignorarlo: nasconderlo non puote,
Quando a lui splende. Teco viver chiedo,
Amata figlia, ed ombra niuna a Jefte
Recar, nè ad altri ambizïosi o forti.
Sol di virtù pacifiche contesa
Vuol il fedel con chi all’errore è servo:
Vincer le offese col perdono: l’odio
Coll’amore: i martír colla costanza:
Null’ altro ei vuol;... ma simular non mai!
Ester.Sublime legge! In un l’ ammiro e temo!
Eleazaro. Ma il vivo affetto uopo è ch’io freni: il giorno
S’avanza. Addio.
Ester.                                        Senza alcun don lasciarti
Partir? No.
Eleasaro.Ferma. Uso al deserto, io ricco
Son di silvestri frutta, e di poca onda.
Nulla or mi manca: ti trovai, gli amplessi
Tuoi recherò alla genitrice. Oh doni
D’ogni tesor più preziosi!
Ester.                                                            E vuoi?...
Eleazaro.Soverchio indugio fòra. Addio: ritorno
Qui al tramonto, farò.
Ester.                                             Si, padre: e, colti