Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/182

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atto terzo. — sc. ii. 177

Iginia.Oh feri detti! Ohimè! Signor....
Evrardo.                                                            Mendaci
Proteste io sdegno. Al filïale amore
Loco tenga il timor: mi basta. Il sai,
Tremenda è, incomportabil l’ira mia:
Più d’un possente che scherniala è polve:
A ciò pensa, o fanciulla — e speme iniqua
Non rimarratti d’avvilire il padre.
Or odi il voler mio: l’odi, — e obbedisci.
Iginia.Io tremo.
Evrardo.               Per tua colpa, atra tempesta
Sovra il mio capo s’elevò; l’ho sgombra
Ma non del tutto: or l’opra tua mi giova.
Iginia.Al cenno tuo sommessa, anco i miei giorni
Sacrificar desio, purchè placarti
Io possa: — nè per me grazia ti chiedo:
Per Giulio, per Roberta io sol t’imploro!
Evrardo.Fuggito è il traditor.
Iginia.                                        Fia ver?
Evrardo.                                                  Ricovro
Diergli i Solari: v’accors’io, ma tardi:
Già con funi calato era dai muri
Della città. Perch’io primo il delitto
De’ Solari scopersi, e alle lor torri
Diedi l’assalto, e vinsi, e fra catene
I superbi or si stanno, il sospettoso
Spirto cessò, che contra me in senato
Sorgea per le maligne arti di Giano:
Di ghibellin fedele il glorïoso
Nome mi si ridona, e Giano stesso
Freme e tace. Ma l’armi alla calunnia
Tutte franger vogl’io: vo’ ch’esser padre
Non mi si apponga a rea di stato. Innanzi
Tu al senato venir, con giuramento
Nemica dirti ai guelfi déi: nemica
A fellon, che (te ignara) addotto venne
In queste sale da Roberta. Appieno
Già costei s’accusò: pèra, e non resti