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atto quinto. — sc. iii. 259

SCENA III


ERMANO, GUERRIERI E DETTI


Ermano.Di qua, di qua, guerrieri!
Il Conte.1O vil, t’arresta;
Ove corri? Quel brando scellerato
Entro qual seno infigger brami? In quello
Del fratel tuo?
Ermano.De’ traditori tutti
Che contro a me combattono, che obbrobrio
Fatti si son del nome nostro alzando
Contro all’insegna imperïal le spade.
Lasciami.
Il Conte. 2Ferma, o traviato. Ascolta
Gli ultimi detti di tuo padre. Infame,
Esecrabile è il calle in cui t’avventi.
Sete sfrenata di comando e invidia
A vilipender le canute chiome
Del genitor ti spinge. Andran deluse
Le tue inique speranze. In me l’acciaro
Puoi scagliar parricida e calpestarmi,
Ma agli spregiati genitori è in cielo
Un vindice terribile e securo.
Quegli t’attingerà. Quegli Ariberto
Che pria di te, ma con men grave oltraggio,
Mia canizie offendea, gettò in estrema
Miseria disperato a’ piedi miei.
Ed Ariberto in più giovanili anni
Errato avea: gl’intenti suoi non giusti
Erano forse, ma abbaglianti. A obbrobrio
Tu, peggiore del suo, tratto sarai.
Che s’io non vivo per vederlo, e innanzi
A me non curvi la superba fronte,
Se passegger trionfo a te sorride,

  1. S’alza.
  2. Lo afferra con tutta l’autorevolezza paterna.