Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/297

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292 leoniero da dertona.

Arrigo.                                             Infami son!
Enzo.                                                       Tu....
Arrigo.                                                            Arrigo
Degli Auberti son io.
Enzo.                                        Polve a un mio cenno
Sei.
Arrigo.          Ma polve onorata.
Eloisa.                                             Oh ciel! gli atroci
Sdegni non si raccendano. Deh, sposo,
Pietà! — Fratello, ei di sua mente ancora
Tutti i consigli non pesò.
Enzo.                                                  Assai tempo
S’ebbe. Intendesti? Con tua scritta annuncia
Al genitor....
Arrigo.                         Che a genitor sì grande
Indegno figlio esser non vo’; che lieto
Augurio siagli il mio morir, che segno
Di somma debolezza è quando rotto
D’ogni pudore il varco hanno i felloni;
Che veduto dappresso ho i compri armati
Onde sfidati siam, gente codarda
Che in frotta assalta cavalier solingo,
E a stento il doma; che....
Enzo.                                             Tant’osi? al padre,
Folle! altro nuncio recherà il tuo capo.
Eloisa.Misera me! fermatevi. A’ tuoi piedi
Eccomi, Arrigo. Pace, pace io prego;
Santo è il mio prego. Alla città niun bene
Senza la pace avvenir puote. Il padre,
Ah, già tel dissi, mi torran le pugne!
Orfana io resterò! Vedova, o immersa
Per la perdita tua sempre nel pianto,
Qual resteria al canuto Auberto e a’ figli
In me conforto?
Arrigo.                              A te ed a loro, Iddio.
Eloisa.Ah, l’amor mio non senti! Io di me appena
Sinor parlarti osava. Il tuo severo
Ciglio temea. Ma, o Arrigo, io t’amo, io t’amo