Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/302

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atto terzo.—sc. i. 297

Ghielmo.Io che fratel ti sono, e cui ben nota
Tutta l’altezza è del tuo core, io primo,
Se in te appaia viltà, svenarti giuro.
Guerrieri.Tutti giuriam.
Oratore.                         Magnanimi! Qual forte
Commovimento in me destate! Offeso,
Deh, non v’abbian miei detti.
Auberto.                                                  Entro mie stanze
Gradir ti piaccia alcun ristor.
Oratore.                                                  Ritorno
A te, Auberto, farò; pria ad Enzo i passi
Lascia ch’io mova, e per Milan gl’intimi
Di guerra il bando.
Auberto.                                   Il sacro ufficio adempi;
E se il timor dell’armi vostre in Enzo
Può, alle minacce tue mesci d’Arrigo
Il nome. Ei tema orribili vendette
Se immolarlo s’attenta.
Oratore.                                             Auberto, poni
La mano tua su questo core; ei balza
Di maraviglia e d’amistà ripieno.1


SCENA II.

UBALDO e BERENGARIO.


Berengar.Ubaldo.
Ubaldo.               Berengario.
Berengar.                                   A terra affiggi
Smarrito il guardo?
Ubaldo.                                   Oh amico mio! quel vecchio
Come da noi diverso! Al proprio figlio
Ei pria rinuncia che alla patria, e noi,
Noi della patria all’oppressore avvinti!
Berengar.Tardo è il pentirsi.
Ubaldo.                                   Tardo? Ah, no! d’eroi
Noi pur siam prole.

  1. Parte, e tutti l’accompagnano, eccettuati i seguenti.