Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/309

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304 leoniero da dertona.

Da vili denigrato, iva qual reo
Dalla patria proscritto. E tu, cui lieto
Far potea sua caduta, indegnamente
Cader nol sofferisti. In mezzo al campo
Gettasti il guanto con tai detti: «Mènte
Chi di trame coll’oste Auberto accusa!»
E i vili smascherasti, e il tuo nemico
Illeso riponesti entro sue torri.
Oh, grande, sì, tu fosti allor! Ma grande
Vieppiù stato saresti, ove respinto
Non m’avessi dal seno. Ambizïoni
Molte mi divoravan, ma la prima
D’Auberto ambizïone era, l’amico
Di Leoniero divenire. Il sangue
Recente ancor de’ nostri amati scusa
Fu al tuo rifiuto, e sangue altro chiedea.
Ma il versavi; o non basta? I miei maggiori
Fratelli chi disteso ha nella tomba? —
E quando Arrigo amò Eloisa, e primo
Enzo a propor la colleganza venne
Entro mie stanze, le fraterne tombe
Gli mostrai forse? — Al nuzïal convito
Vòto alla destra mia stavasi un seggio.
Chi d’onorare intendev’io? — In quel seggio
Mi figurava Leoniero.
Leoniero.                                        Oh Auberto!
Guidello.1Non vergognar: la destra all’emol tuo
Porger volevi. Ah, sconosciuti sempre
L’uno all’altro viveste! Egli d’Arrigo,
D’Arrigo è il padre!
Leoniero.                                        E ahi! del tiranno io ’l sono!
Auberto.Come non le virtù, nostre le colpe
Non son degli avi, nè de’ figli. — Il volto
Perchè ritorci?. Ecco: io la man ti stendo.
Leoniero.2Auberto! Auberto! il figlio tuo è mio figlio!
Lui dal cor benedico!

  1. A Leoniero.
  2. Lo abbraccia.