Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/402

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atto secondo. — sc. II. 397

Cromwell.                                             Io del mio sire
L’incarco adempio.
Moro.                                    Tua paura acqueta.
Me ritornato nella regia grazia
A spaventarti, a smascherar tue frodi,
Siccome temi, non vedrai.
Cromwell.                                                   (Respiro.)
E dell’amico tuo detti la morte?
Moro.Impedirla non posso!
Cromwell.                                              E lui perdendo,
Perdi te stesso. Oh d’ogni grazia indegno!
Oh il più ostinato de’ mortali!
Moro.                                                             Il dubbio
Che mia costanza oggi crollasse e forse
Del re il favor racquistass’io, parole
Meco soavi suggeriati prima:
Or che perduto mi prevedi, il freno
Osi romper dell’ira.
Cromwell.                                         Alcun diritto
Ad indulgenza, o spirito superbo,
No, più non hai.
Moro.                                    Da’ pari tuoi bramato
In qual tempo ho indulgenza?
Cromwell.                                                        Io fin ad ora
Distolto Arrigo avea dal sottoporti
Al parlamento. Or se a giudizio alfine
Tratto tu vieni, tua condanna è certa.
Moro.Se è ver, che sino ad or tu me sottrarre
Dal giudizio volevi, era speranza
Che il carcer m’avvilisse, e disprezzata
Vita io, simile a te, quindi vivessi.
Non avrai tal trionfo.
Cromwell.                                              Avrommi quello
Di veder dal tuo busto alfin l’audace
Capo divelto e rotolante a terra.
Moro. Ma dirai «Non lo vinsi» e fremerai!
Cromwell.Chi vien?