Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/457

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452 manfredo

Manfredo. Una grazia; ma che giova ripeterla? sarebbe vano.

Fata. Io non la conosco; il tuo labbro la pronunzi.

Manfredo. Ebbene, ancorchè ciò mi tormenti, non importa; il mio dolore troverà una voce. Fin dalla mia gioventù il mio spirito non camminò mai colle anime degli uomini, nè guardò con occhi umani la terra; la sete della loro ambizione non era la mia; lo scopo della loro esistenza non era il mio; le mie gioje, i miei dolori, le mie passioni e le mie facoltà faceano di me uno straniero; quantunque io ne portassi la forma, non avea simpatia colla carne respirante, nè fra le creature di creta che mi circondavano ve ne fu altra che una — ma di quella parlerò poi. Dissi che cogli uomini e co’ loro pensieri non ebbi se non poca comunione; ma invece, la mia gioja era nel deserto a respirare la difficile aria della gelata cima delle montagne, dove gli uccelli non osano fabbricare, nè l’ale dell’insetto sorvolare sul granito nudo d’erba; o a scagliarmi nel torrente e rotolarmi sul rapido vortice della nuova onda spezzantesi del fiume o dell’oceano, nel loro gonfiarsi. In queste cose la mia giovenil forza esultava; oppure in seguire, durante l’intera notte, la commovente luna, le stelle e il loro svolgimento; o in cercare gli abbaglianti lampi finchè i miei occhi ne fossero offuscati; o nel guardare, ascoltando, sopra le sparse frondi, quando i venti dell’autunno susurravano il loro canto della sera. Tali erano i miei diletti, e principalmente lo star solo; chè se gli enti, dei quali io era uno — abborrendo di esser tale — traversavano la mia via, io mi sentiva degradato dietro loro e ridiveniva tutto creta. E allora io errava solingo e scendeva nelle fosse della morte, cercando la sua causa nel suo effetto, e traeva dalle aride ossa, dai cranii e dall’ammucchiata polvere le più illecite conclusioni. Allora io passava le notti degli anni in scienze che non si studiarono fuorchè nell’età remota; e con tempo e fatica, e terribili prove e penitenze tali che hanno possanza sopra l’aria e gli spiriti che misurano aria e terra, e spazio e il popolato infinito, i miei occhi facev’io famigliari coll’Eternità, come, pria di me, fecero i Magi e colui2 che dalle loro abitate fontane trasse fuori Eros ed Anteros a Gadara, come io traggo te; — e col