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466 manfredo

SCENA II.

Un'altra camera.

MANFREDO e HERMAN.


Herman. Signore, m’imponeste d’avvertirvi del tramonto del sole; egli scende dietro la montagna.

Manfredo. Ei tramonta? Voglio vederlo. (S’accosta a una finestra) Glorioso orbe! idolo della primitiva natura, della vigorosa razza umana non ancor soggetta alle malattie di quei giganti nati dagli abbracciamenti degli angeli con un sesso più bello di loro4 che trasse giù gli erranti spiriti in luogo donde non ritorneranno mai più. — Gloriosissimo orbe! che eri un nume prima che il mistero della tua creazione fosse rivelato! tu primo ministro dell’Onnipotente, che rallegravi, sulla cima delle loro montagne, il cuore dei pastori Caldei, quando lo effondevano in orazioni! Dio di materia! e rappresentante il Dio sconosciuto — che sceglie te per sua ombra! Tu primo astro! centro di tanti astri! che rendi tollerabile la nostra terra e temperi i colori e i cuori di tutto ciò che si muove ne’ tuoi raggi! Signore delle stagioni! Monarca dei climi e di coloro che gli abitano! poichè, vicini o lontani, i nostri innati spiriti hanno una tinta di te, appunto come i nostri esterni aspetti; — tu sorgi e splendi e tramonti in gloria. Addio! Io non ti vedrò mai più. Siccome la mia prima occhiata d’amore e di meraviglia fu per te, così ricevi il mio ultimo sguardo: tu non raggerai sopra uno a cui i doni della vita e del calore sieno stati d’una natura più fatale. È tramontato; io lo seguo. (Parte.)


SCENA III.

Montagne. — Il castello di Manfredo a qualche distanza. Un terrazzo davanti a una torre. — Crepuscolo della sera.

HERMAN, MANUELE e altri dipendenti di Manfredo.


Herman. È cosa strana; una notte dopo l’altra, per anni intieri, egli ha continuate le sue lunghe vigilie in questa tor-