Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/71

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66 eufemio di messina.

SCENA VI.

ALMANZOR e detti.


Almanzor.                                                                      Reso
Entro Messina è Teödor.
Lodovica.                                                             Me lassa!
Nulla diceati ?
Almanzor.                                   Che sue voci estreme
Tu non ponga in obblio.
Lodovica.                                                       Tremendo istante
Quest’è !
Eufemio.                    Che aneli? Inorridisci? Al fero
Padre giurato hai d'abborrirmi? E il puoi?
No, Lodovica: più che a te, m’è nota
L'amante anima tua; dessa traluce
Fra le ripulse ancor. Vana la cinge
Di superstizïon nebbia leggera,
Che a te vorria trasfigurarmi; al guardo
Tuo risplende una face; ella è d’amore
Per te la face, e di ragione a un tempo.
Già da tal raggio accorta, un falso Iddio
Scerni in quel ch’ io abjurava, in quel ch' espulso
M’ha dal paterno suol, che dal mio seno
Te, per me nata, respingea, ch’ a eterno
Romito carcer tuoi giorni innocenti
Per folle ira tirannica dannava.
Testimon d’ un Dio vero ecco il ridente
Ciel.... la natura a tutti madre.... Ah, nunzi
Non son d’un nume che a’suoi figli vieti
La pura gioja dell’ amor, che sempre
Sdegnato imponga espiatrici angosce
Nel cupo orror d’inospitali templi.
Lodovica. Oh sciagurato! Un breve passo morte
E l'uom divide: ah, ti ravvedi!
Eufemio.                                                            Infame
Nomar la legge del Coran si suole.
Dagli alunni di Cristo: oh! tu disgombra