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I SETTE A TEBE 193

di Poliníce — oh nome all’opre cònsono! — :
se le lettere d’oro che millantano
sovra lo scudo, con insana mente,
gli schiuderan le porte. Oh, se Giustizia,
di Giove intatta figlia, e mente ed opere
a lui guidasse, essere ciò potrebbe;
ma né quando dal buio alvo materno
balzò, né quando fu poppante o pubere,
né quando al mento s’addensò la barba,
di fargli motto si degnò Giustizia.
Né or, credo, io, che la rovina cerca
della sua patria, presso a lui starà:
o menzognero è di Giustizia il nome,
se un uomo assiste ad ogni eccesso ardito.
Tale fiducia io nutro; e contro lui
io stesso moverò, starò. Più adatto
chi mai di me? Re contro re, fratello
contro fratello ivi starò, nemico
contro nemico. Su, schinieri e lancia
e quanto giova a schermir pietre recami.
coro
Figlio d’Edípo, a me su tutti gli uomini
diletto, deh! non renda te la collera
pari a quel maledetto! E che s’azzuffino
con gli Argivi i Cadmei, basti: quel sangue
espiar si potrà; ma se l’un l’altro
si uccidon due fratelli, oh!, tale eccidio
tempo non v’ha che ad invecchiarlo giovi.