Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) VI.djvu/57

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54 EURIPIDE

restar potrebbe onesta una fanciulla:
ché, lasciate le case, insiem coi giovani,
nude le gambe, alto succinti i pepli,
hanno comuni — usanza insopportabile —
stadî e palestre. E allor, che meraviglia
se le fanciulle oneste non vi crescono?
Dimandane, se puoi, novelle ad Elena,
che dai tuoi lari, abbandonato il Giove
tutor dei matrimonî, in terra estranea
andò, con un amante, a bel sollazzo.
E tu, per lei, tal turba accolta d’Èlleni,
ad Ilio andasti; e non dovevi lancia
muovere, ma, poiché scoperta s’era
trista cosí, sputarle dietro, e dove
si trovava lasciarla, anzi pagare
per non piú riaverla, una mercede.
Ma d’altri venti al soffio i tuoi pensieri
tu rivolgesti, e molte eroiche vite
sacrificasti, e molte vecchie prive
dei lor figli rendesti, e molti padri
canuti; ed io sono un di questi, o misero:
ché come l’assassino io ti considero
d’Achille, come il suo genio malefico:
ché da Troia tu sol tornato sei
senza ferite, e l’armi tue bellissime
come te le portasti entro i lor foderi
belli, cosí l’hai riportate. Ed io
dissi al nipote mio che non stringesse
parentela con te, che non lasciasse
entrar la figlia d’una trista madre
in casa nostra: ché per dote portano
le vergogne materne. A ciò badate,
voi che alle nozze v’accingete: a scegliere