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E per tutto il dialogo col figlio, séguita l’accentuazione di tale comicità, mediante quelle battute anfibologiche, caratteristiche d’Euripide, che una cosa dicono al personaggio, e un’altra allo spettatore.

Ione. — È strana assai, quest’avventura!

Xuto. — Siamo in due a meravigliarcene.

Ione. — E quale madre mi diede a te?

Xuto. — Non te lo so dire.

Ione. — E Febo non te lo disse?

Xuto. — Per il gran piacere, non glielo chiesi.

Quest’ultimo tratto è davvero impagabile. E cosí, se fossimo in sede comica anziché tragica, dovremmo ammirare la finezza dei tratti per cui Xuto si induce a considerare sé stesso coniuge infido, traditore della moglie e del talamo, e quasi a provarne rimorso. Ricordando la nascita di Ione, la qualifica «follia di gioventú» (μωρία γε τοῦ νέου). E protesta che però, dopo il matrimonio con Creusa, non ha fatto piú strappi al contratto coniugale.

C’è, veramente, contro l’asserzione della sua paternità, una difficoltà piuttosto grave. Come mai il figlio di Xuto, vissuto sempre in Atene, si trova in Delfi? Ma appena Ione gli domanda se è mai capitato a Delfi, si afferra súbito a quest’àncora. Egli ci venne infatti da giovine. Ma se questo par sicuro, meno sicuro risulta dalle battute del dramma che qui si compiesse uno dei suoi scappucci giovanili: quelli di cui parla prima, evidentemente, non furono commessi a Delfi. Leggiamo il dialogo (traduco alla lettera):

Ione. — Non sei venuto mai, prima d’ora, a Pito?

Xuto. — Sí, alle feste di Bacco.

Ione. — Alloggiasti presso alcuno dei pròsseni?

Xuto. — Sí, che a fanciulle di Delfo...

Ione. — ti diede compagno nel tíaso? O che volevi dire?

Xuto. — Sí, con le Mènadi di Bacco.