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IONE 135

tragica, caratteristica d’Euripide, sebbene non ne manchino esempî negli altri drammaturghi.

Ma anche bisogna osservare che di solito quell’ironia si esercita alle spalle di personaggi candidati alla canzonatura, e massime alla canzonatura dei liberi cittadini ateniesi: per lo piú, di barbari e di schiavi: Toante nella Ifigenia in Tauride, Teoclimeno nell’Elena, lo schiavo Frigio nell’Oreste.

Nello Ione, invece, si esercita, prima di tutto sopra Xuto, metèco, sia pure, ma, insomma, capostipite di dinastie ateniesi. Poi, sull’aio di Creusa, servo, ma presentato in una situazione che dovrebbe essere circonfusa d’alta tragicità. E, infine, sullo stesso Ione.

Sicché, in certi punti del dramma non riusciamo a vincere l’impressione di trovarci, non già in una tragedia, bensí in una commedia, e, a momenti, in una farsa.

E un altro carattere distingue lo Ione, come altri, che vedremo, dei drammi euripidei, dall’antica tragedia. Ed è lo speciale uso della musica.

Vediamo la scena in cui Creusa entra col vecchio aio. Le ancelle del coro le annunziano che le sue speranze son vane, e che essa non potrà mai stringere al seno un pargoletto. Il coro le rivolge la parola in trimetri giambici, e, dunque, semplicemente recitando. Ma essa risponde súbito in metri lirici (763 sg.), ossia cantando. E interviene l’aio, anche recitando, ed essa séguita, nel terzetto, a cantare: sinché, dopo un lungo discorso del pedagogo, rimane affidato a lei sola un lungo monologo. E una prima parte ne è gittata in anapesti, e, dunque, par quasi certo, declamata a grandi accenti sopra una melodia di flauto (παρακαταλογή = me-