Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu/28

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PREFAZIONE XXVII


Parrebbe impossibile riuscire piú odioso. Pure, eccolo superato dal Menelao dell’Andromaca: crudele, perfettamente insensibile anche dinanzi alla tenera innocenza d’un bambino, scioccamente ligio alla sciocchissima figlia, millantatore e codardo sin di fronte al vecchio e invalido Pelèo.

E suo degno compagno è il Polimèstore dell’Ecuba, traditore fra i traditori, che assassina il giovinetto Polidoro affidato alle sue cure, per impadronirsi delle sue ricchezze, e, sempre per avidità, cade nella rete tesagli dalla vecchia Ecuba.

Altre figure simili troviamo, piú o meno definite, nel teatro d’Euripide.

E lo stesso eccesso dei colori adoperati a dipingerle, le fa uscire dai limiti dell’umanità, le riduce da persone a tipo, da tipo, quasi, a maschera. La maschera del tiranno: quella dipinta dal Cossa:

                    una figura che spaventa
con gli occhi, e lenta incede sopra l’alto
coturno, e fatti a suono di misura
tre passi, dice una parola, anch’essa
misurata e prescelta fra le truci
di nostra lingua.

Maschera tragica, ad ogni modo. Quasi maschera comica è invece quella che vediamo delinearsi nel Menelao dell’Elena (vedi introduzione), nella Teoclimeno dello stesso dramma, nel Toante della Ifigenia in Tauride, nello Xuto dello Ione. Mariti, tutti, o amanti, o gabbati o credenzoni, e che di fronte ad una svelta e vezzosa donnetta fanno la figura di babbei. Il tipo, insomma, del Minotauro, che da Menelao arriva, con innumerabili repliche, a Boubourouche: Xuto ne è incarnazione quasi perfetta.

Cosí pure, vediamo il medesimo processo, anche piú in-