Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu/318

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IONE 249

dove io te, figlio mio, deposi, pargolo
senza parola, ne le Rupi lunghe
e nell’antro di Pane. E questo altare,
anche morir dovessi, or lascerò.
Abbandona l’ara, e si precipita verso Ione, per esaminare il cestello.

ione

Afferrate costei: balzò, dal Nume
resa delira, dall’altar, l’effigie
sacre lasciò. Le braccia sue legate.

creusa

Tener non mi potrete, anche uccidendomi,
che a questo cesto io non m’afferri, e a quello
che c’è dentro nascosto, e, figlio, a te.
Si afferra al figlio, e lo tiene stretto: sicché le guardie non possono afferrarla né colpirla.

ione

Ora io debbo suo schermo essere: è strano.

creusa

No, ché diletto ai tuoi diletti appari.