Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu/48

Da Wikisource.

PREFAZIONE XLVII


Tamquam pictura poësis, è antico detto, e giustificatissimo; e appunto per questo occorre studiare un po’ la poesia come si studierebbe una delle arti plastiche che cadono sotto il senso della vista.

Ora, mentre Eschilo dipinge sinteticamente, in iscorcio, e a grandi masse, Euripide accarezza il disegno, e scende sino ai particolari, per metter sotto gli occhi degli spettatori tutto ciò che egli vede, senza lasciar margine alla fantasia.

Un paio d’esempii. Ne Le Baccanti, Dioniso che pone Pentèo sull’albero:

                    E, posato Pentèo fra i rami, il tronco,
                    pian piano, senza abbandonarlo a un tratto,
                    ché via non crolli il carico, rilascia.

E nella Medea, Creusa che prova il fatale peplo donatole dalla rivale:

                    Poscia dal trono surse, e traversò,
                    sul bianchissimo pie’ molle incedendo,
                    la stanza; e tutta gaudio era pei doni.
                    E spesso e a lungo si mirò, levandosi
                    sugli apici dei pié, sino al tallone.

Insuperato esempio di efficacia, nella precisione dei particolari, è il maroso descritto nell’Ippolito:

                    Un maroso infinito, insino al cielo,
                    scorgemmo, tal che agli occhi miei fu tolto
                    veder le spiagge di Scirone; e l’istmo
                    tutto nascose, e d’Esculapio il balzo.
                    Poi, sgonfiandosi, e tutto gorgogliando
                    di fitta spuma in giro, si lanciò,