Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/309

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306 EURIPIDE


nell’umbilico a suo fratello, sino
alle vertebre spinse. E, rilasciati
e fianchi e ventre insiem, cadde, sprizzando
il sangue a rivi, Poliníce misero.
E l’altro, ornai sé vincitor credendo,
trionfator, gittò la spada a terra,
e si diede a spogliarlo; e a tal bisogna
volta la mente avea, non al fratello.
E questo lo perdé: ché l’altro, un fioco
alito ancor traendo, il ferro stretto
serbato avea nella fatal caduta;
e, surto a stento, lo cacciò nel fegato
d’Etèocle, esso che prima era caduto.
E, mordendo la terra, un presso all’altro
giacciono; ed indivisi i beni restano.

corifea

Ahi ahi, quanto i tuoi mali, o Edípo, io piango!
Quanto imprecavi, un Dio, sembra, compie’.

araldo

I mali odi che a questo ancor seguirono.
Poiché caddero spenti i due fratelli,
la madre loro sopraggiunse, misera,
con la vergine figlia; e in tutta fretta
moveano. E appena li mirò trafitti
dalle piaghe mortali: «O figli miei,
tardi — gridò — l’aiuto mio vi giunge!».
Ed ora a questo, ed ora innanzi a quello