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turba l’unità di stile, senza la quale nessuna opera d’arte ascende mai troppo alto, risulta pienamente legittimo. E incensurabile è l’architettura del dramma: dove, a due grandi tempi calmi e solenni, ne succede un terzo tutto impeto e furia. È concepito nel medesimo spirito per cui, nella secolare formazione della sinfonia, si stabilisce quasi canonico il principio che l’ultimo tempo deve superare i precedenti per velocità e slancio.

La connessione delle Supplici al momento politico è resa piú stretta dalle digressioni e le allusioni, che in questa tragedia non rimangono sporadiche ed occasionali, come in quasi tutte le altre, ma, come sono piú fitte ed insistenti, cosí sembrano conglobarsi, con una intenzione e un fine evidenti, a formare un sistema. Vediamole un po’ da vicino.

Appena arriva l’araldo degli Argivi, e saluta Tesèo col nome di re, l’eroe si risente di tale qualificazione, e, con un discorso che per il nostro sentimento non può non avere un senso ironico, e che d’altronde è anacronistico, gli ricorda che Atene è retta a democrazia. Ma anche piú strano è che le sue argomentazioni sono un tessuto di luoghi comuni, bizzarramente intempestivi; e quelle dell’araldo, che è l’unico personaggio odioso della tragedia, e doppiamente antipatico ad Euripide per la sua duplice qualità di argivo e di araldo, sono quanto mai precise, efficaci, appropriate al momento politico. Proprio in quegli anni spadroneggiava in Atene il demagogo Cleone. Ora si osservino, nel primo episodio dei Cavalieri di Aristofane, i colori con cui lo dipinge il poeta comico, e si confrontino con quelli che adopera l’araldo in queste Supplici, per dipingere il prototipo del demagogo; e si vedrà che si corrispondono, ad uno ad uno, esattissimamente. Tranne che