Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) III.djvu/188

Da Wikisource.

ERCOLE 185

e niun altro dei Numi. Ed io t’esorto
a rassegnarti, ad evitare il peggio.
Niun dei mortali immune è da sciagura,
e niuno degli Dei, se pur non mentono
dei poeti i racconti. Essi non strinsero
nozze fra lor che niuna legge approva?
Per cupidigia di potere, i padri
non avvilîr nei ceppi? Eppur, dimora
hanno in Olimpo, ed è per essi lieve
delle colpe il rimorso. E che dirai
se tu, nato mortale, intollerante
ti mostri alle sciagure, e i Numi no?
Come la legge vuole, ora abbandona
Tebe, e me segui alla città di Pàllade.
Quando pure le tue mani avrai rese,
l’ospizio quivi, e parte dei miei beni
io ti darò: quanti presenti m’ebbi
dai cittadini, allor che sette e sette
giovinetti salvai, ponendo il toro
di Creta a morte, tuoi saranno. Stese
di terra grandi, a me per tutta l’Attica
furon servate; e tue dette dagli uomini,
finché tu viva, ora saranno; e quando
tu sarai spento, e scenderai nell’Ade,
con sacrifici e con marmorei tumuli
Atene tutta onor ti renderà.
Pei cittadin’ sarà fulgido serto
rendere omaggio a un forte eroe, dagli Èlleni
averne fama; la salvezza ch’ebbi
da te, compensi questa grazia mia.
Ch’or d’amici hai bisogno. Allor che i Numi
t’accordano favore, a nulla servono
gli amici. Basta, quando vuole, un Dio.