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tèma della passione di Fedra; come avveniva, appunto, nell’Ippolito velato.

Sempre secondo antiche testimonianze, il poeta avrebbe scritto il primo Ippolito per vendicarsi dell’infedeltà di sua moglie. Ma assai probabilmente la notizia fa parte del bagaglio di accuse e di beffe piú o meno insulse che i pettegoli Ateniesi rivolgevano al poeta per la sua presunta misoginia, e che trovarono un’eco geniale nelle commedie di Aristofane, e massime nelle Rane e nelle Tesmoforiazuse: dove si asserisce che Euripide:

ogni suo dramma, per dispetto, imbastiva
su argomenti ove fosse qualche donna cattiva,
Melanippide, o Fedra.

Un po’, dunque, malignità: un po’ compiacimento per i soggetti lubrici.

Ma entrambe le accuse erano infondate e grossolane. Verissimo che Euripide aveva una special predilezione per le figure femminili: verissimo che provava una propensione, strana a prima vista, per le grandi peccatrici; ma le ragioni erano ben piú profonde che non pensassero i suoi detrattori.

Bisogna infatti non essere artisti, e non pensatori, per non sentire profondamente il fàscino della donna, che tanto piú dell’uomo sembra partecipe del mistero della vita, che sembra quasi immedesimarsi con la forza arcana onde la vita è generata. Le sue membra sembrano tenui, fragilissime, eppure assorbono e contengono allo stato latente le piú arcane e terribili forze della creazione: sembrano le ancelle del piú doloroso ed umile travaglio, eppure in esse è infusa, assai piú che nelle membra virili, una virtú misteriosa, indefinibile e onnipossente, la bellezza, che, se da un lato sembra fòmite