Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) IV.djvu/159

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città sarebbe, e piú nessuno il nome
di Ftia ricorderebbe. Assai dovranno
saper d’amaro acque lustrali ed orzo
al profeta Calcante. Ed uomo è forse
un profeta, che assai dice menzogne,
e poche verità, quando l’imbrocca,
e quando sbaglia, si dilegua? E questo
io non lo dico per le nozze: mille
fanciulle essermi spose bramerebbero.
Ma grave torto a me fece Agamènnone:
a me chieder doveva il nome mio,
per adescar la figlia; e Clitemnestra
meglio da me sarebbe stata indotta
a cedere la figlia. Ed io concesso
agli Ellèni l’avrei, se non concederlo
contesa avesse la partenza. Opposto
non mi sarei, che prospera la sorte
volgesse a quelli onde alleato io venni.
Ma i duci in nessun conto ora mi tengono:
bene trattarmi, o male, è ugual per essi.
Ma ragione farà presto la spada,
che, prima ancor di giungere tra i Frigi,
io di macchie sanguigne spruzzerò,
se vorrà la tua figlia alcun rapirmi.
Sta pur tranquilla. A te parvi un grandissimo
Nume, e non ero; e adesso io tal sarò.

coro

Parole hai dette, o figlio di Pelèo,
degne di te, della marina Diva.