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232 EURIPIDE

sedete, o sia che voi siate i Diòscuri
o i figli di Nerèo, che le cinquanta
Nerèidi, egregia schiera, a luce diede».
Ma un altro, un capo scarico, protervo
e senza legge, a quella prece rise,
e disse ch’eran naufraghi, e nell’antro,
per timore, cercato avean riparo,
sapendo che fra noi costuma uccidere
gli stranieri. E parve ai piú di noi
che bene egli dicesse, e per la Dea
farli prigione convenisse, e a morte
porli, com’è nostro costume. E in questa,
l’un dei foresti lascia la caverna,
e, ritto, il capo crolla in su e in giú,
e leva lagni, ed un tremor gli scote
l’estremo delle braccia, e furïoso
delira, e come un cacciatore grida:
«O Pílade, costei vedi? E non vedi
quest’altra, d’Ade dragonessa, d’orride
vipere armata contro me, che vuole
uccidermi? E quest’altra fuoco spira
dalla tunica, e strage, e volge a me
il remeggio dell’ali, e tra le braccia
stringe mia madre, un gran blocco di pietra,
per gittarmelo addosso. Ahimè tapino,
m’ucciderà! Dove fuggiamo?» — Uguali
le visioni sue sempre non erano,
anzi diverse. E i latrati dei cani
e i muggiti dei buoi, diceva ch’erano
voci imitate dalle Furie. Noi
muti ce ne stavam, rimpicciolendoci,
quasi in procinto di morire. E quello,
tratta la spada, piombò sui giovenchi