Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) IV.djvu/40

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GLI ERACLIDI 37

fiera al nemico i giovani rampolli
d’un nobil sangue, e degli oltraggi memori
inferti al padre; ed ei deve schermirsene.
Or, se qualche altro piano hai tu piú pratico,
dillo: ché io, da poi che udii gli oracoli,
sono smarrito, ed il terror m’invade.
Dal tempio esce

macaria
La taccia di sfrontata a me non date,
ospiti: ciò per prima cosa io chiedo:
ché tacere, e far senno, e rimanere
tranquilla in casa, son per una donna
le primissime doti. Eppure, udendo
Iolao, le tue querele, io sono qui:
non perché la tutela a me commessa
sia dei congiunti; ma poiché capace
ne sono, e sono i miei fratelli cari
piú d’ogni cosa a me, per me, per essi
chiedere io vo’ se ai mali antichi un nuovo
cruccio or s’aggiunge, che ti morde il cuore.

iolao

A buon diritto, e non da ieri, o figlia,
debbo di te, piú che degli altri figli
d’Ercole, elogio far. Quando sembrava
che prospero volgesse il nostro corso,
spinto è di nuovo tra i perigli. Dice
costui che gl’indovini hanno prescritto
che non si sgozzi toro, e non vitella
di Demètra alla figlia, anzi una vergine,