Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/173

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mostrando al padre mio la gratitudine
che tu gli devi. Ché d’amici il nome
hanno soltanto, ma non sono, quanti
nelle sciagure l’amistà non serbano.

corifea

Tíndaro, lo spartano, affretta a noi
l’antico piede: indossa un negro peplo,
le chiome per la figlia ha rase a lutto.

oreste

O Menelao, perduto io sono: Tíndaro
verso di noi s’avanza; e di trovarmi
dinanzi a lui, troppa vergogna io provo,
per ciò che ho fatto: ch’ei mi nutricò
quando ero bimbo, e mi copria di baci,
portando in giro il figlio d’Agamènnone
fra le sue braccia, e Leda insiem con lui,
ch’ero diletto a lor quanto i Dïoscuri.
Un ben tristo compenso ad essi diedi,
misera anima mia, misero cuore.
Qual tenebra addensare ora potrò
sopra il mio viso, quale nube stendervi
per isfuggir del vecchio alle pupille?
Entra il vecchio Tindaro.

tindaro

Dove potrò, dove potrò vedere
Menelao, sposo della figlia mia?
Di Clitemnestra su la tomba stavo,