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non possiamo non rimaner sorpresi della loro identità. Specialmente caratteristiche sono la limitazione al sol nella parte bassa, e l’assenza del do.

E se pensiamo che Euripide scrisse in un tempo in cui l’ὰμετάβολον era di là da venire, e che la gamma di Quintiliano era di quelle a cui senz’altro si riferiva Platone nella Repubblica1, e che dunque erano le gamme per eccellenza, le classiche al tempo d’Euripide, parrà probabile che proprio essa ci dia il modulo preciso per l’interpretazione del frammento d’Euripide.

E cosí, ad onta dell’autorità del Gevaert, mi sembra che, tutto sommato, le maggiori probabilità rimangano tuttora per una interpretazione enarmonica.

Del resto, il dubbio, che pur sempre sussiste, non deve ingenerare un eccessivo scetticismo. Per l’interpretazione della maggior parte delle note la trascrizione è sicurissima: sicurissima, dunque, l’ossatura della melodia. E certo la melodia varia, a seconda che su questa ossatura noi sovrapponiamo i quarti di tono del l’enarmonico o i semitoni del cromatico; ma non tanto che vada interamente smarrito il suo carattere (cercheremo di determinarlo).

Se non che, eseguita la trascrizione, si presenta, come per ogni altro brano di musica greca, un nuovo problema, non sempre facile, e qui reso piú arduo dallo stato frammentario del brano: cioè la determinazione del modo.

Problema, anche questo, di somma importanza. Perché le note son quelle, non c’è dubbio. Ma il loro pieno significato ci sfugge, finché non sappiamo a quale costituzione modale

  1. Aristide Quintiliano, I, IX (p. 22): Τούτων δὲ καὶ ὁ θεῖος Πλάτων ἐν τῇ Πολιτείᾳ μνημονεύει.