Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/7

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4 EURIPIDE


Certo, questo dramma appartiene ad un momento in cui il poeta piú decisamente si orientava verso la nuova formula d’arte, che dicemmo romantica (vedi prefazione allo Jone). Ad una metamorfosi romantica, poco si prestava l’argomento, troppo rigidamente fissato dalla tradizione. Ma, senza dubbio, con le risorse del suo libero e multiforme ingegno, Euripide riuscí ad infondere un senso di freschezza nell’antichissimo soggetto.

E non tanto coi mutamenti di particolari introdotti nello svolgimento delle vicende: Egisto ucciso nei campi anziché nella reggia: il riconoscimento tra Oreste ed Elettra, che non avviene spontaneamente, bensí per opera del vecchio servo: l’insidia (una delle tante mecanài aborrite da Aristofane) tesa da Elettra alla madre; e neppure con la trovata, che dové sembrare arditissima novità, di fare Elettra sposa d’un bifolco: bensí con la fondamentale concezione dei caratteri.

Perché tanto ne Le Coefore d’Eschilo, quanto nella Elettra di Sofocle, la miserevole sorte a cui la madre snaturata e il suo drudo sottopongono la misera fanciulla, non intaccano, anzi neppure sfiorano l’altera regalità del suo spirito. Stato servile, sordide vesti, esclusioni, codardi affronti, scivolano su lei lasciandola intatta, come un lutulento rigagnolo sopra un blocco di lucido oro. Verso tutti e contro tutti essa ha cuore e parole di regina, sorda, non solo ai comandi, bensí anche alle amorevoli suasioni. E chi tenta distoglierla dai suoi fieri propositi, sia pure per affetto, diviene oggetto del suo odio. Nella Elettra, in una scena violentissima, dice alla sorella Crisotèmide:

T’invidio il senno; ma sei vile, e t’odio.