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SOFOCLE xiii

gliati nella drammaturgia d’Eschilo, eccoli infine assurti a vera vita drammatica.

E a questo punto possiamo caratterizzare la posizione di Sofocle rispetto al mito. Eschilo, dicemmo, si affiggeva in esso per inquadrarne fedelmente il contenuto entro le nuove belle sagome della tragedia ditirambica. Si aveva con lui il dramma in servigio del mito.

Sofocle, invece, studia la materia mitica, e ne ricava alcuni elementi in funzione e in servigio di una sua nuova concezione, modificando ed aggiungendo elementi che si prestano a meglio comporre la nuova forma. Con lui abbiamo il mito in servigio del dramma.



Abbiamo detto che il contrasto è il germe d’ogni futuro svolgimento drammatico. Ma bisogna soggiungere che contiene anche il germe d’un male che contamina poi tutta la tragedia greca, e dal quale neppure Eschilo va interamente immune.

Prendiamo il contrasto già ricordato fra Elettra e Clitennestra. E facciamone uno schema analitico, che renderà piú evidente il suo carattere.

Parla prima Clitennestra, per giustificarsi. E dice: «Ammetto di avere ucciso Agamènnone. Ma non l’ho ucciso io, bensí la giustizia. Egli infatti immolò tua sorella Ifigenia. Perché la immolò? Per compiacere Menelao. Menelao fece la spedizione per vendicare il rapimento d Elena. Non era piú giusto uccidere Elena o, se non Elena, i figli di Menelao?»

Ed Elettra risponde:

«Prendo nota che ammetti l’uccisione. Ma è falso, che tu l’abbia ucciso per vendicare Ifigenia; perché avevi già un