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116 SOFOCLE

fettivamente, anche qui, l’esempio del giovine Euripide, tanto contagioso che influí anche sul suo piú feroce nemico, Aristofane, s’impose anche al suo maggiore rivale tragico. Sofocle si lasciò trascinare dalla passione dell’intreccio, o, meglio, dell’intrigo per l’intrigo. Solito inconveniente dell’arte. La funzione crea l’organo; e l’organo, una volta sviluppato, crea la funzione.

E in un altro punto Sofocle sembra rimanga vittima della sua stessa concezione drammatica. Abbiamo visto come egli aveva mirato via via a ridurre a funzione drammatica anche le parti liriche, con vantaggio innegabile della omogeneità e della efficacia complessiva. E qui, applica, o, meglio, si lascia prendere la mano da questo principio, quando forse meno conveniva farlo: quando era balenata alla sua mente la ispirazione lirica piú felice di tutta la sua opera: la invocazione al sonno. Tanto meravigliosa, che, anche allo stato di spunto, ci incanta ed avvince nelle spire d’una inesprimibile magia. Ma il poeta, invece di lasciarla svolgere liberamente su le ampie vie della musica, súbito la svia e l’aduggia nell’ufficio drammatico.

Am Ende hangen wir doch ab
Von Kreaturen die wir machten.


Ma, lasciate oramai da parte le analisi critiche, abbandoniamoci interamente alla tragedia, al fascino che si sprigiona da ogni sua scena. Dopo tanto volo di secoli, dobbiamo ancora ammirarla come una di quelle opere, rarissime nella storia di tutte le arti, in cui un grande artista, giunto all’apice della sua carriera, superata ogni difficoltà, risoluta ogni incertezza, coglie tranquillamente, nel proprio campo, i frutti degli alberi da lui seminati, da lui coltivati con lunga pazienza e con amore infinito.