Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) I.djvu/19

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xx PREFAZIONE
per due stagioni, di sei mesi ognuna,
da primavera al sorgere d’Arturo.
Quindi, giunto l’inverno, io ritornavo
all’ovile, ai presepî egli di Laio.

Nel «Filottete», poi, e nell’«Edipo a Colono», anche questo germe del multiforme genio di Sofocle, viene a maturazione. Tarda maturazione, che dispiega però una prodigiosa ricchezza di foglie e di fiori.

E veniamo finalmente al coro. Abbiamo già visto come, dal lato formale, questo elemento si era schematizzato in Eschilo. Al principio dell’azione, i coreuti entrano, intonando un loro canto in tempo di marcia, e movendo i passi in quel ritmo. Quindi si fermano, e cantano strofe accompagnate ad evoluzioni e lente danze intorno all’ara di Diòniso. Segue una serie alternata di episodî drammatici e di riprese corali, precedute ognuna da un nuovo brano anapestico. E queste riprese anapestiche introducono nella tragedia, oramai divenuta stabile, un elemento di moto, e rimangono in certa guisa indice e suggello della sua essenza, ricordando che in origine essa era appunto una processione.

Ora, nella piú antica delle tragedie superstiti di Sofocle, l’«Aiace», ci troviamo ancora dinanzi a questo schema tradizionale. Ma nella «Elettra», che in ordine di tempo segue forse l’«Aiace», vediamo subito il distacco dalla tradizione, e la tendenza a scancellare il carattere del corteo, di processione. Anche qui, sfilata d’anapesti, piú gruppi strofici. Ma gli anapesti contengono un monologo di Elettra, le strofe un dialogo fra l’eroina e le sue compagne. Rimane la forma; ma dentro la forma si modella un contenuto nuovo. Ed è