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EDIPO A COLONO 113

piú o meno larvatamente, nelle tragedie greche, un’eco del protagonista. Qui, fin da principio, è in antitesi. E anche se, dopo lunga discussione, e dopo l’intervento di Teseo, si calma, infine, quando incomincia il prodigio dei tuoni, riprende il suo atteggiamento di diffidenza e di ostilità.

E del resto, il suo carattere originario appare qui alterato in ogni sua nota.

Nella celebre descrizione del bosco di Colono, è descrittivo, in funzione di paesaggio. Novità, in fondo, euripidesca.

Dopo la partenza di Teseo con Edipo, è bensí, come era in origine, e poi per tradizione rituale, preghiera; ma preghiera non rivolta direttamente dal coro ai Numi, per conto proprio, indipendentemente dalle vicende del dramma, bensí preghiera connessa con l’azione, preghiera a Edonèo, re dei defunti, che tra poco deve accogliere Edipo nei suoi regni di tenebre. Insomma, è inserito nel dramma.

Quando Teseo parte con Creonte, per recuperare le fanciulle rapite, descrive, prevedendola con la fantasia, la lotta dei cavalieri attici coi predoni di Tebe. Non è dunque né descrizione mitica, né antefatto. È una parte del dramma, recata innanzi agli spettatori per mezzo del racconto. Parallela alle narrazioni dei nunzi. Dunque, anche qui, in funzione drammatica.

Gli altri canti del coro, poi, sono piú che in funzione di dramma. Sono dramma addirittura. Cosí le strofe che seguono gli scoppii dei tuoni. Cosí quelle che succedono alla partenza d’Ismene, e che nella loro simmetrica precisione accolgono tanto le battute del corifeo quanto quelle di Edipo. Cosí, specialmente, la pàrodos.

In questa troviamo sviluppato al punto massimo il frazionamento del coro. Qui è scomparsa ogni traccia di compattezza e di rigidità arcaica. Anzi, è sostanzialmente repudiata la convenzione che divideva nettamente i coreuti dagli attori:

Sofocle - Tragedie, II - 8