Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) II.djvu/246

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ANTIGONE 243


Davvero, per arrivare a simile conclusione, ce ne vuole. Ci vuole la mentalità d’un filologo moderno infatuato di femminismo. Il quale, poi, per uno strano contrappasso, finisce per diminuire il proprio idolo. La fermezza di Antigone non è durezza, e nemmeno è quella singolar tenacia di molti personaggi sofoclei, che rassomiglia qualche volta alla testardaggine: bensí è la inflessibilità di fronte ad un sacro dovere: è puro eroismo. Ed eroismo degli anni di giovinezza e di verginità, quando l’immacolatezza dell’animo e del corpo rende le creature piú devote a tutte le bellezze morali, piú intransigenti verso gli altri e verso sé stesse. E chi di simile eroismo crede incapace Antigone perché donna, quegli, senza avvedersene, reca offesa alla causa che presume difendere. Giacché l’esperienza insegna che le donne, come hanno essenzialmente un concetto piú serio della vita, cosí sono anche, assai piú degli uomini, capaci di piccoli e grandi eroismi e sacrifici. Ed è piú che naturale che una fanciulla come Antigone, per non deflettere una linea dal suo sacro dovere, sfidi impavida i patimenti e la morte.

E, d’altra parte, non bisogna dimenticare, che, compiuto intrepidamente questo dovere, Antigone, sul punto di andare alla morte, si sente venir meno il cuore. L’Antigone dell’Alfieri, movendo al supplizio, dice alle guardie:

Su, vi affrettate, andiam; sí lento passo
sconviensi, a chi del sospirato fine
tocca la mèta. Impietosir voi forse
di me potreste? Andiam. Ti veggo in volto,
terribil morte, eppur di te non tremo.

E queste parole, sulle labbra d’una giovinetta, non dirò neppure che suonino troppo mascoline; ma, nella loro implacabilità, hanno qualche cosa di voluto, di accademico, di falso.