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266 SOFOCLE 285-317

285ma dura e secca intorno era la terra,
senza solco di ruote e senza zolle;
né vestigia lasciò l’operatore.
E come all’alba a me la prima scolta
diede l’annunzio, uno stupor doglioso
290tutti pervase: era sparito il morto:
non già sepolto; ma una lieve cenere
cospersa era su lui, come da chi
schivar volesse il sacrilegio; e segno
non pareva di fiera, e non di cane
295che a lanïarlo qui fosse venuto.
E suonarono allora acerbi detti
degli uni contro gli altri; ed il custode
rampognava il custode; e si veniva
ai colpi già, né alcun v’era a frenarci:
300ché poteva ciascuno esser colpevole,
ma non parere; e tutti diniegavano.
Ed eravamo già disposti a stringere
ferri roventi nelle mani, a muovere
tra le fiamme, a giurar per i Celesti,
305che noi del fatto operatori, o complici
di chi l’avea compiuto o disegnato,
non eravamo. E quando, infine, nulla
non si trovò, per quanto investigassimo,
uno parlò, che a tutti il capo volgere,
310per la paura, fece a terra. E infatti,
nulla c’era da opporgli: eppur, buon esito
non vedevamo al suo consiglio alcuno.
Esso dicea che conveniva a te
riferire l’evento, e non tacerlo.
315E vinse il suo parere. E a me tapino
tanta fortuna riserbò la sorte.
E a mal mio grado io giungo, a chi m’accoglie,