Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) II.djvu/270

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318-345 ANTIGONE 267

lo intendo bene, a mal suo grado: ché
un messagger di mali a niuno è grato.
corifeo
320La coscienza mia da un pezzo dubita
o re, che questa opera sia d’un demone.
creonte
Taci, prima che d’ira i detti tuoi
m’empiano, e a un tempo tu stolido e vecchio
t’abbia a scoprir: ché quanto dici tu,
325che cura abbian gli Dei di questo morto,
patire non si può. Rendergli onore
vollero, lo coprirono, perché
venne a bruciare le colonne e i templi
e i sacri voti, a struggere la loro
330terra, e le leggi? Vedi tu che i Numi
onorino i malvagi? Oh!, non è vero!
Il vero è questo: da gran tempo v’erano
uomini che il poter mio sopportavano
di mala voglia in Tebe, e mormoravano,
335scotendo il capo di nascosto, e il collo
non tenean, come giusto è, sotto il giogo,
tanto che me gradissero. Da questi,
lo intendo, per mercede, indotti furono
quei che l’opra compieron: ché fra gli uomini
340cosa non v’ha piú trista del denaro:
questo perfino le città distrugge,
questo discaccia dalla patria gli uomini,
questo è maestro che perverte l’anime
oneste a compiere opere malvage,
345d’ogni ribalderia questo la pratica,