Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/201

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Varchi. E voi troppo tosto riprendete me e biasimate la loica, la quale inerita di essere adorata da chi cerca sapere il vero delle cose, come son certo che fate voi.

Tullia. Truovimi il vero in questa contraclizzione ed insegnimi come possa essere che due cose siano una medesima e siano differenti tra loro, cioè piú degna l’una che l’altra; ed io la adorerò.

Varchi. Fatelo a vostra posta, perché, se bene una cosa, considerata per sé e semplicemente ed in un modo solo, non può esser differente da se stessa e piú o meno nobile di quello che ella sia, non è perciò che, considerata diversamente e secondo vari rispetti, non possa accadere quello che io ho detto e che è il vero.

Tullia. Io credo quello che voi dite, ma non lo intendo.

Varchi. Alle ragioni si dee credere, non alla auttoritá. Dico che una cosa medesima, considerata variamente ed aguagliata a diverse cose, può essere e piú degna e men degna di se stessa, e cosí sará differente da se medesima.

Tullia. Uno essempio vorrei.

Varchi. Dio non ama se stesso?

Tullia. Ama.

Varchi. Dunque è amante ed amato?

Tullia. È.

Varchi. Chi pensate voi che sia piú nobile: o l’amante o l’amato?

Tullia. Lo amato, senza dubbio.

Varchi. Perché?

Tullia. Perché lo amato è cagion non solo efficiente e formale, ma ancor finale, ed il fine è nobilissimo di tutte le cagioni: onde allo amante non rimane se non la cagion materiale, la quale è men perfetta di tutte.

Varchi. Bene avete risposto e dottissimamente. E cosí Dio, considerato come amato, è piú nobile di se stesso, considerato come amante.

Tullia. Si.