Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/204

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massa d’oro è meglio schietta e da per sé, che imbrattata di fango o mescolata col piombo; e, se non altro, è cagione del composto. Ma noi facciamo troppe digressioni, ed infastidiremo per aventura questi gentiluomini, i quali sono stati cheti sempre e stanno forse per avertirci che tacciamo.

Tullia. Non pensate a cotesto e badate a seguitare, e, se è possibile, spianate le cose e snocciolatele minutamente, non guardando a quello che io so o non so; ché, a dir il vero, non mi par saper nulla, se non ch’io non so cosa alcuna.

Varchi. Non sarebbe miga poco cotesto, e vi potreste aguagliare a Socrate, che fu il piú savio uomo ed il migliore di tutta Grecia.

Tullia. Non lo dissi in cotesto senso io: voi andate troppo assottigliando le cose. Ma, se egli fu si buono e si santo, perché non lo andate voi imitando? Ché, come sapete, conferiva ogni cosa con la sua Diotima ed imparava da lei tante belle cose, e spezialmente ne’misteri d’Amore.

Varchi. Che fo io tuttavia?

Tullia. Fate il contrario di quello che faceva egli, percioché egli apparava e voi insegnate.

Varchi. Voi lo sapete male. Donde credete voi eh ’ io cavi quel poco ch’io dico, se non...

Tullia. Or su su; non tante cose. Tornate alla materia lasciata, e mostrateci, se si può, piú agevolmente, che «amare» e «amore» siano una medesima cosa.

Varchi. «Amare» non è effetto d’«amore»?

Tullia. Io credeva prima di si.

Varchi. Ora perché non lo credete?

Tullia. Per amor vostro.

Varchi. Come? Per amor mio?

Tullia. Per amor vostro, si.

Varchi. Oh! questa sará dessa, se l’amor mio dee servire a farvi domenticare il vero.

Tullia. Io non ragiono di cotesto, io. Ma voglio dire che non lo credo piú, perché voi avete detto di sopra che non è cosí.