Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/225

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far quello che giudica che meglio gli torni : conciosiacosaché non tutti gli uomini stimano la robba o l’onore egualmente ed in un modo medesimo; e chi non vuole esser ripreso in cosa niuna, non bisogna che faccia nulla.

Tullia. Sono pure strane opinioni! Non sanno eglino che il Petrarca è in tanto pregio e riputazione piú, senza comparazione niuna, per le rime che per altro?

Varchi. Che conto pensate che tengano questi tali del Petrarca? Ma oggimai ragioniamo d’altro.

Tullia. Di grazia:

ché ciò volere udire è bassa voglia.

E, come disse Dante degli sciagurati,

non ragionar di lor, ma guarda e passa.

Ma proponetemi que’ dubbi che voi dicevate dianzi.

Varchi. lo burlava.

Tullia. Non burlavate, no, ché bene vi conosco: oltra che, avete detto tante volte, da voi, che non burlate mai in cosí fatte cose.

Varchi. Voi avete conchiuso finalmente che Amore è infinito, onde non si può amar con termine: conciosiacosaché gli amanti abbiano sempre nuovi disii, e mai non si contentino di fine niuno, senza disiderar piú oltra. Non è questo vero?

Tullia. Verissimo.

Varchi. Ora io contra questa vostra conchiusione arguisco in questo modo: «Tutti gli agenti razionali, cioè che oprano con cognizione, fanno tutto quello che fanno ad alcun fine». Che dite di questa proposizione?

Tullia. La concedo, perché so che è d Aristotele; ma ne vorrei saper la cagione.

Varchi. La cagione è che niuna cosa si move a far cosa niuna da se stessa, ma bisogna che sia mossa da altrui; ed «il fine è quello che muove l’agente», dice il filosofo.

Tullia. Lo credo, poiché lo dice il filosofo; ma vorrei sapere la cagione anche di questo.