Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/228

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Tullia. Voi vi sarete in questa volta dato della scure in sul piè da voi a voi.

Varchi. Non sarò il primo che saetta i colombi suoi; ma dite perché.

Tullia. Percioché questo nome di «amore», significando piú maniere di amori, è nome equivoco; e voi non mi avete domandato prima di quale io intendeva.

Varchi. Adio, signora Tullia; voi me la avete appiccata!

Tullia. Vostro danno!

Varchi. Mio danno sia. Ma io ve ne domando ora.

Tullia. Ed io ora vi rispondo, e dico, lasciando stare molte altre divisioni che si potrebbono fare, che lo amore è di due ragioni: l’uno chiameremo «volgare» overo disonesto, e l’altro «onesto» overo virtuoso. Il disonesto, che non è se non degli uomini volgari e plebei, cioè di quelli che hanno l’animo basso e vile e che sono senza virtú o gentilezza, qualunque essi si siano, o di picciolo legnaggio o di grande, è generato dal disiderio di goder la cosa amata; ed il suo fine non è altro che quello degli animali brutti medesimi, cioè di aver quel piacere e generare cosa simigliante a sé, senza pensare o curare piú oltra. E chi si move da questo disiderio ed ama di cotale amore, tosto che egli è pervenuto dove egli disiderava ed ha adempita la volontá sua, cessa dal moto e non ama piú; anzi bene spesso, o per aver conosciuto l’error suo, o per dolergli il tempo e la fatica che vi ha speso, rivolge lo amore in odio. E di questo non parlava io.

Varchi. Ve lo credo certissimamente, ché so bene che l’altezza del vostro animo nobilissimo non discenderebbe tanto basso, che gli cadesse nel pensiero di ragionar di cose si vile. Ma seguitate.

Tullia. L’amore onesto, il quale è proprio degli uomini nobili, cioè che hanno l’animo gentile e virtuoso, qualunque essi siano, o poveri o ricchi, non è generato nel disiderio, come l’altro, ma dalla ragione; ed ha per suo fine principale il trasformarsi nella cosa amata con disiderio che ella si trasformi in lui, tal che di due diventino un solo o quattro; della qual